I viaggi spaziali indeboliscono il sistema immunitario

Fonte: T. Akiyama, K. Horie, E. Hinoi et al, npj Microgravity volume 6, Article number: 14 (2020)

Prolungata assenza di gravità, esposizione a raggi cosmici e forte stress: tutti fattori che possono indebolire il sistema immunitario degli astronauti, esponendoli a maggior rischio di infezioni e tumori. Per questo motivo i probiotici, e il Lactobacillus casei Shirota in particolare, grazie ai loro effetti benefici sulle difese immunitarie potrebbero avere un ruolo di primo piano nella colonizzazione umana dello spazio.

Chi assume statine ha un microbiota più in forma

Fonte: Libby P per Nature News & Views

L’analisi di campioni fecali ha rivelato che le persone obese che assumo statine, comuni farmaci per ridurre i livelli di colesterolo nel sangue, presentano una comunità di microrganismi intestinali più “sana” rispetto a quanto ci si sarebbe atteso. Un articolo riassume le implicazioni di questa sorprendente scoperta.

Descrivere nel dettaglio il microbiota intestinale di un individuo, composto da migliaia di specie differenti, non è compito facile. Per questo motivo, i ricercatori sono soliti dividere il microbiota delle persone in quattro grandi categorie, dette “enterotipi”, ciascuna caratterizzata dall’abbondanza o dalla scarsità di alcune specie di microrganismi. Gli enterotipi più utilizzati nel mondo della ricerca medica sono quattro: Bact1, Bact2, Rum e Prev. Le persone con un determinato enterotipo tendono ad avere caratteristiche fisiologiche simili, a conferma di quanto il microbiota possa influenzare la nostra salute. Per esempio, si è osservato che le persone con enterotipo Bact2 presentano diversi problemi di salute e un elevato livello di infiammazione generale. Un gruppo di ricercatori belgi ha valutato l’enterotipo di un gruppo di persone obese come parte di un progetto di ricerca sui fattori che influenzano la salute cardiovascolare, facendo una scoperta sorprendente: la prevalenza di enterotipo Bact2 è risultata più bassa nelle persone che assumevano regolarmente statine. Ciò significa che in queste persone il microbiota era più “sano” di quanto ci si aspettasse. Tuttavia, non è ancora chiaro se le statine abbiano un effetto diretto sul microbiota o se l’associazione statine-microbiota sano sia dovuta ad altri motivi. Il più probabile tra questi potrebbe essere il fatto che i soggetti in trattamento con statine sono pazienti con migliore accesso alle cure mediche, sottoposti a controlli regolari nel tempo e la loro salute sia in generale migliore di quella di chi non assume gli stessi farmaci. Per scoprirlo saranno necessario altri studi sull’argomento.

Una rivoluzione nella classificazione dei lattobacilli

Fonte: International Scientific Association for Probiotics and Prebiotics. 16 aprile 2020.

Grazie ad avanzate tecniche di valutazione genetica, un gruppo di ricercatori ha scoperto che alcuni batteri finora ritenuti appartenere al genere dei lattobacilli, in realtà non fanno parte di questo gruppo di microrganismi. Una scoperta che ci aiuterà a capire meglio come questi probiotici possono contribuire alla nostra salute.

Il genere dei lattobacilli (Lactobacillus) è formato da oltre 250 specie. Grazie a sofisticate analisi del DNA di questi microrganismi un gruppo di ricerca internazionale ha notato che alcune delle specie ritenute da sempre parte di questo gruppo siano in realtà geneticamente molto differenti, tanto da richiedere un cambio di classificazione e, quindi, di nome. Questa scoperta ha portato a individuare diversi nuovi generi, formati da “ex” lattobacilli con caratteristiche fisiologiche e metaboliche simili. Per esempio, il Lactobacillus casei è stato denominato Lacticaseibacillus casei e inserito nel nuovo genere Lacticaseibacillus. Altri lattobacilli, per esempio il L. acidophilus o il L. gasseri, invece, non hanno cambiato nome e classificazione. Si tratta di un argomento per specialisti, destinato a creare (almeno inizialmente) qualche confusione persino negli addetti ai lavori. Secondo l’International Scientific Association for Probiotics and Prebiotics, però, la nuova classificazione potrebbe aiutarci a comprendere i meccanismi attraverso i quali microrganismi tra loro simili esercitano i loro benefici sulla salute dell’uomo.

Un “vaccino” anti-Covid-19 basato su un bacillo probiotico

Fonte: Coleman C. Sito web della Colorado State University.

L’Università del Colorado sta studiando il modo per sfruttare la versione geneticamente modificata di un comune probiotico, il Lactobacillus acidophilus, per modulare la risposta immunitaria e impedire al virus Sars_Cov2 di infettare le cellule del corpo umano.

Il Lactobacillus acidophilus è un comune batterio probiotico, presente nello yogurt e in altri alimenti fermentati. Un team di ricercatori dell’Università del Colorado, guidato dal Dr. Gregg Dean, sta tentando di produrne una forma geneticamente modificata, da utilizzare come vaccino contro il Covid-19. Oltre che nell’intestino, infatti, il L. acidophilus prolifera anche sulle mucose che rivestono naso, bocca, gola ed apparato respiratorio: queste superfici sono proprio quelle attaccate dal Covid-19, cosa che rende il batterio un nostro potenziale alleato nel contrastarne l’infezione. I ricercatori statunitensi hanno scoperto che un L. acidophilus opportunamente modificato potrebbe coordinare la risposta immunitaria dell’uomo, impedendo a virus di penetrare all’interno delle cellule. L’azione del batterio probiotico è diretta contro le proteine Spike del virus, quelle che gli conferiscono il tipico aspetto a corona e che gli consentono di agganciarsi alle cellule umane per infettarle. Sulle proteine Spike esistono due siti che rappresentano due “punti deboli” del virus, e il L. acidophilus è stato progettato proprio per agire su questi due talloni d’Achille del patogeno.

Le raccomandazioni ESPEN per la nutrizione dei pazienti con infezione da Covid-19

Fonte: Barazzoni R et al. Clin Nutr. 2020, 31 marzo.

L’autorevole European Society for Clinical Nutrition and Metabolism ha pubblicato una serie di raccomandazioni per migliorare lo stato nutrizionale dei pazienti colpiti da Covid-19, con l’obiettivo di fornire indicazioni sintetiche e utili per ridurre il rischio di malnutrizione associato all’infezione da Covid-19.

La pandemia da Covid-19 sta rappresentando una sfida senza precedenti per i pazienti e per i sistemi sanitari di tutto il mondo. Le complicanze respiratorie acute dell’infezione richiedono il trattamento nelle unità di terapia intensiva e rappresentano la principale causa di morte associata al virus. I pazienti con esiti clinici peggiori sono in genere quelli anziani, ricoverati in terapia intensiva e con altre malattie concomitanti. In questo gruppo di pazienti la presenza di malnutrizione è un evento comune e rappresenta di per sé un importante fattore di rischio di morte e di malattia. Inoltre, il prolungato ricovero in terapia intensiva può causare malnutrizione o aggravare quella già presente, causando perdita di massa e di funzionalità muscolare, che a loro volta possono provocare disabilità, riduzione della qualità di vita e altre malattie. Secondo l’European Society for Clinical Nutrition and Metabolism (ESPEN) prevenzione, diagnosi e gestione della malnutrizione dovrebbero essere incluse nei protocolli di gestione dei pazienti con Covid-19. Per facilitare questo processo, l’ESPEN ha redatto un documento che contiene 10 raccomandazioni pratiche rivolte agli operatori sanitari, finalizzate a fornire indicazioni sintetiche e utili per ridurre il rischio di malnutrizione associato all’infezione da Covid-19.

Intestino e Sars-CoV2: relazioni pericolose

Fonte: Redazione di Nutrienti e supplementi, 29 aprile 2020.

Il ruolo dell’intestino nell’infezione da Covid-19 è stata l’oggetto di un interessante webinar realizzato con il patrocinio di AGGEI (Associazione Giovani Gastroenterologi ed Endoscopisti) e con il contributo non condizionato di Yakult Italia. Questo articolo ripercorre i principali contenuti presentati durante il webinar e include il link che consentirà a chi se lo fosse perso di visionarlo on demand.

Scoperte le proteine che favoriscono l’ingresso del virus Covid-19 nelle cellule intestinali

Fonte: Zang R et al. Sci Immunol. 2020 May 13;5(47).

Si chiamano TMPRSS2 e TMPRSS4 e sono due proteine con funzione enzimatica presenti in gran numero sulla superficie delle cellule intestinali. Secondo un gruppo di scienziati statunitensi e cinesi, queste due molecole permetterebbero al Covid-19 di entrare nelle cellule intestinali e moltiplicarsi.

È ormai noto che l’intestino sia uno dei bersagli del Covid-19: per questo motivo gli scienziati di tutto il mondo stanno indagando a fondo sui meccanismi attraverso i quali questo virus possa attaccare l’apparato gastrointestinale. Finora era noto che il recettore ACE2, presente sia sulla superficie delle cellule delle vie respiratorie, sia su quella delle cellule intestinali, fosse la molecola chiave per il contagio da Covid-19. Essa, infatti, consente alla proteina Spike del virus (quella che forma le caratteristiche punte che danno al patogeno la forma di una corona) di agganciarsi alla superficie delle cellule. Tuttavia, questo aggancio non è sufficiente a permettere al virus di entrare all’interno della cellula e sfruttarne i meccanismi per moltiplicarsi. Un team di ricercatori statunitensi e cinesi ha di recente scoperto che per l’ingresso del virus all’interno della cellula sono essenziali anche altre due proteine, dette TMPRSS2 e TMPRSS4. Si tratta di due enzimi presenti in gran numero sulla superficie delle cellule che rivestono l’interno dell’intestino. Questa scoperta potrebbe aprire la strada a nuove strategie terapeutiche per contrastare l’infezione da Covid-19.

Prevenzione del contagio da Covid-19: quando la mascherina non basta

Fonte: Heller L et al. Sci Total Environ. 2020 Apr 25;729:138919.

Un gruppo di ricerca ha di recente rilevato la presenza del virus Covid-19 nelle feci dei pazienti infetti, sollevando la questione del possibile rischio di trasmissione oro-fecale del patogeno. Se questa via di contagio fosse confermata sarebbe necessario modificare le attuali strategie per la limitazione della pandemia. Un articolo affronta in dettaglio l’argomento.

La conferma di una possibile via di trasmissione oro-fecale del virus Covid-19 potrebbe avere grandi conseguenza sulle strategie di controllo della pandemia. In questo articolo vengono innanzitutto analizzate le attuali prove sperimentali che sostengono l’ipotesi della via di trasmissione oro-fecale: queste non possono limitarsi alla dimostrata presenza di RNA di Covid-19 nelle feci dei pazienti infetti, ma devono prendere in considerazione sia le dinamiche ambientali sia l’effettiva capacità del virus di mantenere la sua capacità infettiva dopo il transito intestinale. L’articolo prosegue analizzando le possibili vie di diffusione ambientale del virus Covid-19 a partire dalle feci, nell’ambito delle quali le acque reflue e alcuni vettori animali (per esempio gli insetti) potrebbero avere un ruolo chiave. Infine, gli autori dell’articolo avanzano una serie di proposte (basate sulle conoscenze finora disponibili) per integrare il contenimento della via di trasmissione oro-fecale nelle strategie di prevenzione del contagio da Covid-19. Per loro stessa ammissione, però, le domande aperte restano ancora numerose e la complessità dell’argomento richiede che vengano effettuati altri studi mirati sull’argomento.