Lactobacillus casei Shirota allevia i sintomi della stipsi negli adulti e aumenta il livello di acido pipecolinico nell’intestino

Fonte: Ou Y et al. Front Microbiol 2019; 10: 324.

I benefici dei probiotici sulla stipsi sono ampiamente accettati, ma i meccanismi che coinvolgono i metaboliti dell’intestino non sono chiari. In questo studio, sono stati valutati gli effetti del ceppo Lactobacillus casei Shirota (LcS) in pazienti stitici ed è emerso che un mediatore del metabolita è coinvolto nella riduzione della stipsi.

Nello studio sono stati arruolati 16 pazienti stitici e 22 non stitici. I partecipanti hanno consumato 100 ml di una bevanda a base di latte fermentato con LcS (108 CFU/mL), ogni giorno per 28 giorni. I metaboliti fecali non volatili sono stati determinati mediante GC/MS (gascromatografo/spettrometria di massa) e i metaboliti identificati sono stati ulteriormente verificati in un modello di topo stitico.

Nei soggetti stitici, l’assunzione di LcS ha migliorato significativamente la frequenza di evacuazioni (da 4,81 a 7,81 volte alla settimana, p <0,05), la consistenza delle feci (da 2,52 a 3,68, p <0,05) e i sintomi correlati alla stipsi. Un totale di 14 metaboliti fecali non volatili sono stati identificati come potenzialmente correlati alla stitichezza e regolati da LcS.
Tra questi metaboliti, l’acido pipecolinico (PIPA) è stato positivamente correlato con la frequenza di evacuazione nei pazienti stitici. Inoltre, PIPA ha significativamente promosso l’attività propulsiva dell’intestino tenue (dal 25,45 al 39,68%) e aumentato il numero di pellet fecali (da 30,38 a 57,38 pellet) nei topi stitici (p <0,05). La 5-idrossitriptamina (5-HT) e l’acetilcolina (ACh) nel tessuto del colon possono essere parzialmente coinvolte nella riduzione della stipsi PIPA-mediata. In conclusione, PIPA è un mediatore metabolico nell’intestino che partecipa alla riduzione della stipsi.

Microbiota intestinale e stipsi cronica: revisioni e aggiornamenti

Fonte: Ohkusa T et al. Front Med (Lausanne) 2019; 6: 19.

La stipsi cronica, incluse la stipsi funzionale e la sindrome dell’intestino irritabile di tipo stitico (IBS-C), è un disturbo gastrointestinale multifattoriale ampiamente diffuso, e la sua eziopatogenesi è poco compresa.

Studi condotti recentemente, nei quali è stato analizzato il profilo del microbiota mediante rRNA 16S, hanno evidenziato disbiosi intestinale nei casi di stipsi cronica.
L’obiettivo di questa review è offrire una panoramica dei recenti studi sul microbiota nella stipsi cronica e dei trattamenti specifici utilizzando probiotici, prebiotici, sinbiotici, antibiotici e trapianto di microbiota fecale (FMT).

Dall’analisi della letteratura pubblicata è emerso che i risultati sul microbiota intestinale nella stipsi funzionale sono incoerenti e attualmente non esiste consenso. Sebbene non esista un chiaro orientamento, nei campioni fecali dei pazienti con IBS-C è stato riscontrato un livello inferiore di Actinobacteria, inclusi i Bifidobatteri, e un livello maggiore di Bacteroidetes a livello della mucosa, rispetto ai soggetti sani. Nella maggior parte degli studi randomizzati controllati e condotti a gruppi paralleli, probiotici, prebiotici, sinbiotici, antibiotici e FMT per la stipsi cronica si sono dimostrati efficaci con pochi effetti collaterali. Tuttavia, esistono molti studi condotti in campioni poco numerosi e su tipi di probiotici diversi per cui è difficile valutare l’effetto.

A fronte di quanto emerso, le evidenze indicano che la disbiosi intestinale può contribuire alla stipsi funzionale e alla sindrome dell’intestino irritabile di tipo stitico. Trattamenti mirati per la disbiosi nella stipsi con probiotici, prebiotici, sinbiotici, antibiotici e FMT possono essere una nuova opzione, specialmente per la stipsi refrattaria alle terapie convenzionali.

L’impiego tempestivo di probiotici negli adulti ospedalizzati previene l’infezione da Clostridium difficile: una revisione sistematica con analisi di meta-regressione

Fonte: Shen NT et al. Gastroenterology 2017; 152: 1889-1900

Revisioni sistematiche hanno fornito prove dell’efficacia dei probiotici nella prevenzione dell’infezione da Clostridium difficile (CDI), ma le linee guida non ne raccomandano l’uso nella prevenzione della CDI. È stata eseguita una revisione sistematica aggiornata della letteratura pubblicata ai fini di contribuire a guidare la pratica clinica.

Sono stati analizzati i dati di 19 studi pubblicati, per un totale di 6261 soggetti.
è stato osservato che ‘incidenza di CDI nella coorte “probiotico”, 1,6% (54 su 3277), era inferiore a quella della coorte “controllo”, 3,9% (115 su 2984) (p <0,001).
Il rischio relativo raggruppato di CDI tra gli utilizzatori di probiotici era 0,42 (intervallo di confidenza al 95%, 0,30-0,57; I2=0,0%).

L’analisi di meta-regressione ha dimostrato che i probiotici erano significativamente più efficaci se somministrati il prima possibile dalla prima dose di antibiotici, con un decremento di efficacia per ciascun giorno di ritardo nell’inizio dei probiotici (p=0,04); i probiotici somministrati entro 2 giorni dall’inizio della terapia antibiotica hanno determinato una maggiore riduzione del rischio di CDI (rischio relativo: 0,32, intervallo di confidenza del 95%, 0,22-0,48; I2=0%) rispetto all’impiego ritardato (rischio relativo: 0,70; Intervallo di confidenza del 95%, 0,40-1,23; I2=0%) (p=0,02).

Non è stato osservato alcun aumento del rischio di eventi avversi tra i pazienti che avevano assunto probiotici. La qualità complessiva delle prove era alta.

In conclusione, da questa revisione sistematica con analisi di meta-regressione, sono emerse prove a sostegno del fatto che la somministrazione di probiotici il prima possibile dall’inizio della prima dose di antibiotico riduce il rischio di CDI di oltre il 50%, negli adulti ospedalizzati.

La ricerca futura dovrebbe concentrarsi su dose, specie e formulazione probiotica ottimale.

Effetti Differenziali di Lactobacillus casei Shirota sulla consistenza delle feci in pazienti con stipsi

Fonte: Chen S et al. - J Neurogastroenterol Motil. 2019 Jan; 25(1): 148–158.

Si prevede che i probiotici offrano benefici ai pazienti con stipsi, ma come i probiotici agiscano sulla consistenza delle loro feci non è chiaro. È stato studiato l’effetto del ceppo Lactobacillus casei Shirota (LcS) sui sintomi della stipsi, in particolare sulla consistenza delle feci, di soggetti cinesi interessati da questo disturbo intestinale.

Pazienti che incontravano i criteri di Roma III per la stipsi sono stati divisi in 3 gruppi in base alla consistenza delle loro feci valutata sulla Bristol Stool Form Scale (BSFS): feci dure, BSFS <3 (HS); feci normali, 3 ≤ BSFS ≤ 4 (NS); feci molli, 4 <BSFS ≤ 5 (SS). Ciascun gruppo ha assunto una bevanda probiotica contenente 1010 unità formanti colonia di LcS al giorno per un periodo 28 giorni.

I risultati dello studio hanno mostrato come la somministrazione di LcS abbia alleviato in modo significativo i sintomi correlati alla stipsi e abbia aumentato la frequenza di evacuazioni in tutti i soggetti. In 4 settimane, la supplementazione con LcS ha ammorbidito le feci nel gruppo HS, ha normalizzato quelle del gruppo SS e non ha alterato la consistenza di quelle del gruppo NS. Le concentrazioni di acidi grassi a catena corta (SCFA) erano più elevate in SS, seguite da NS e HS. L’assunzione di LcS ha aumentato i livelli di SCFA nelle feci del gruppo HS mentre li ha ridotti nel gruppo NS e li lasciati inalterati nel gruppo SS. Inoltre, LcS ha aumentato la numerosità di Pseudobutyrivibrio e di Roseburia nel gruppo HS e ha ridotto quella di Pseudobutyrivibrio nei soggetti SS.

Alla luce di questi risultati è possibile affermare che la supplementazione con LcS migliora i sintomi correlati alla stipsi nei soggetti stitici. Differenze nella consistenza delle feci al basale potrebbero aver determinato effetti differenti. Inoltre, LcS ha riequilibrato la consistenza delle feci, rendendo più soffici quelle del gruppo HS e più consistenti quelle del gruppo SS.
Tali effetti potrebbero essere associati alla modulazione del microbiota intestinale e alla produzione di SCFA

L’influenza sul microbiota intestinale degli inibitori di pompa protonica e di altri farmaci di uso comune

Fonte: Imhann F et al. Gut Microbes. 2017; 8(4):351-358.

Gli inibitori di pompa protonica (PPI), usati per trattare il reflusso gastro-esofageo e prevenire le ulcere gastriche, sono tra i farmaci più usati al mondo. Il loro impiego, tuttavia, è associato ad un aumento del rischio di infezioni enteriche.
Dal momento che il microbiota intestinale può, a seconda della composizione, aumentare o diminuire il rischio di infezioni enteriche, è stato studiato l’effetto dei PPI sul microbiota intestinale.

Sono emerse profonde differenze nel microbiota intestinale tra gli utilizzatori di PPI: il 20% della tassonomia batterica era alterato in modo statisticamente significativo rispetto a coloro che non facevano uso di PPI.

Inoltre, è emerso che non solo i IPP, ma anche gli antibiotici, gli antidepressivi, le statine e altri farmaci di uso comune sono associati a notevoli alterazioni del microbiota intestinale. Di conseguenza, farmaci comunemente usati potrebbero influenzare il modo in cui il microbiota intestinale resiste alle infezioni enteriche, promuove o migliora l’infiammazione intestinale o modifica il metabolismo dell’ospite.

Sono necessari ulteriori studi per capire il ruolo dei d’uso comune nell’alterazione del microbiota intestinale e quindi del conseguente stato di salute.

Effetti della terapia antibiotica sul microbiota gastrointestinale e l’influenza del Lactobacillus casei

Fonte: Pirker A et al. Food and Agricultural Immunology 2012

Gli effetti del Lactobacillus casei Shirota (LcS) sull’incidenza di diarrea associata agli antibiotici (AAD), infezione da Clostridium difficile (CDI) e cambiamenti nel microbiota fecale sono stati analizzati usando il C. difficile-ELISA (su campioni di 678 pazienti), qPCR usando primer gruppo-specifici di 16S rRNA, kit per la tossina di C. difficile e PCR/elettroforesi su gel a gradiente di denaturazione (su campioni di 56 pazienti).

I risultati hanno evidenziato che fino al 18,5% dei soggetti del gruppo trattato con antibiotici sviluppava AAD, mentre solo il 5% dei pazienti trattati con antibiotici e LcS andava incontro a AAD. A seguito di terapia antibiotica, una diminuzione dell’abbondanza di batteri totali, Clostridium cluster IV e XI, Bifidobacterium spp. e butyryl-CoA. Sono stati osservati geni per la CoA-transferasi, mentre le Enterobacteriaceae sono aumentate. L’intervento di LcS ha ridotto la bassa diversità determinata dagli antibiotici del microbiota, aumentando invece l’abbondanza di Lactobacillus spp. e riducendo la scarsa presenza di Bifidobacterium spp.

In conclusione, è stato possibile affermare che il trattamento antibiotico influenza la diversità e la composizione del microbiota responsabile della produzione di butirrato. Nel trattamento dell’AAD, è pertanto desiderabile l’impiego di alcuni ceppi di Lactobacillus, che possono antagonizzare alcuni di questi cambiamenti, e di probiotici più potenti che favoriscono la produzione di acido grasso a catena corta.

Probiotici: “alimenti funzionali” che agiscono effettivamente sulla funzionalità intestinale e l’immunità naturale

Fonte: Bozzani A. Prevenzione e stili di vita - Area Gastroenterologica SIMG 2014

A partire dall’intuizione originale del Premio Nobel Ilya Metchnikoff all’inizio del secolo scorso, seguita dagli studi di Minoru Shirota negli anni ’30, fino ad arrivare alle scoperte degli ultimi anni, si è compreso e si è iniziato a dimostrare che è possibile intervenire nel delicato equilibrio metabolico e immunologico del “microbiota” attraverso l’azione di ceppi batterici selezionati.

Reflusso gastroesofageo: inibitori di pompa protonica modificano il microbiota orale

Fonte: Radrezza S. per Microbioma.it - 20 novembre 2017

Uno studio recentemente pubblicato in Journal of Gastroenterology and Hepatology ha riportato che gli inibitori di pompa protonica o PPI, farmaci ampiamente impiegati nel trattamento di patologie e disturbi legati al reflusso gastroesofageo e/o all’eccesso di produzione di acidi gastrici, sono responsabili di alterazioni del microbiota orale. E non solo.

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Nel 1930, all’Università di Kyoto in Giappone il Dott. Minoru Shirota – microbiologo e ricercatore della facoltà di Medicina e fondatore di YAKULT – selezionò e coltivò un particolare fermento lattico, tanto forte da resistere ai succhi gastrici e giungere vivo nell’intestino, favorendo così l’equilibrio della flora intestinale. Questo fermento fu chiamato Lactobacillus casei Shirota, in suo onore.

YAKULT è presente oggi in 39 Paesi al mondo e viene consumato da oltre 39 milioni di persone.